UNA GIOSTRA 

AL TEMPO DELLA PANDEMIA

Tra poco, pochissimo, un soffio, novembre sarebbe arrivato. A star a sentire le cose, il detto, lo scritto l’imminente mese di novembre non sarebbe stato foriero di nulla di buono, anzi. Bucco avvertiva la sensazione, condivisa dai più, che gli esiti della pandemia, il ritorno di essa, sarebbero stati assai più severi di quelli patiti a marzo e aprile. Con i numeri di infetti, ricoverati in ospedale, intubati nelle varie stanze di terapia intensiva e morti, che sempre più s’accrescevano e addensavano paure intime e collettive, a Bucco pareva che un nuovo lockdown fosse inevitabile.
Fu per la convinzione dell’inevitabile che Bucco decise di indossare giaccone, mascherina e cappello e scendere per strada a passeggiare. Forse avrebbe potuto essere l’ultima passeggiata prima di una nuova forzata clausura.
Temendo che avrebbe potuto incontrare molta gente decise di non recarsi, come al solito, verso il centro e tirò dritto verso la periferia.
Ben presto si trovò nella gran piazza lì vicino a casa. In quella piazza, molti anni addietro, proprio nella prima quindicina di novembre tiravano su uno scalcagnato Luna Park, poca roba: un piccolo autoscontro, due baracchette con tirassegno una e l’altra con un rondò di paperette a bagno pronte ad essere pescate da qualche padre per la gioia della figliolanza. Era capitato anche a Bucco di mettersi lì a pescare e a ricevere gli applausi dalla figlia riccioluta quando una paperetta dondolava a mezz’aria nel cappio di fil di ferro della cannetta di bamboo.
La piazza, per permettere un parcheggio sotterraneo, era stata rifatta: in un canto v’era una giostra, di quelle ricche e tutta invetrata, ben altra roba e assai distante dagli scalcagnati Luna Park straccioni di un tempo; chiusa, ovviamente, anche la giostra per bene.
Fu in quel momento e in quel luogo che a Bucco venne voglia di Luna Park; uno di quelli della sua infanzia e, perché no?, anche della sua adolescenza. Certo era ben consapevole che la sua voglia sarebbe rimasta insoddisfatta proprio perché le disposizioni antivirus vietavano, oltre a sagre e feste di via, proprio i Luna Park.
Dopo alcuni passi stentati, un po’ per via dei settant’anni suonati e per l’incertezza se tornare a casa o spingersi più in là, il suo camminare si fece più deciso quando  imboccò il grande viale che mena diritto al cimitero: lì avrebbe sicuramente incontrato poca gente a quell’ora di dopo tramonto, da qualche giorno tolta l’ora legale. Per incontrarne ancora meno attraversò il grande viale e si incamminò verso il cimitero sul marciapiede di sinistra. Bar e ristoranti avevano già abbassato le saracinesche come disposto dall’ennesimo Decreto del Presidente del Consiglio  dei Ministri. Bucco era certo non solo che tutti i decreti emessi fossero necessari ma anche che, ben presto, ne sarebbe giunto uno a chiudere tutto di nuovo.
Le luci dei pochi negozi aperti sembravano anch’esse più fioche del solito. Bucco sostò per poco dinnanzi alle vetrine di una bottega che vendeva statuine, casette e marchingegni vari per presepi; se ne allontanò interrogandosi se la voglia di presepi e gioie natalizie non  si sarebbe fiaccata irreparabilmente.
I pensieri tristi attorno al prossimo Natale e alle sue consuetudini ben presto svanirono davanti alla voglia, sempre più forte, di Luna Park.
Per chi avesse potuto osservare Bucco, dall’alto di una finestra o di un balcone oppure dal finestrino di un tram in sosta al semaforo nel bel mezzo del gran viale, sarebbe senz’altro stato colpito, forse sbigottito, nel vedere un vecchio tutto intabarrato in un giaccone quasi militare, con tanto di mascherina e un gran cappello scuro, che forse copriva il disordinato scarruffo del suo capo, accelerare improvvisamente  il passo e, quasi gettandosi in una via laterale, dietro a una vecchia osteria popolare ora ristorante rinomato e chiuso, scomparire alla vista, per un ingarbugliato gomitolo di vie, un labirinto dove l’unico filo d’Arianna che lo avrebbe potuto aiutare  stava proprio solo nella  sua mente. Se ne stava lì da anni, dall’infanzia, quando la zia, una sorella della nonna, dopo la visita al cimitero, consuetudine settimanale, lo portava a mangiarsi un milanesissimo sanguiss in una latteria, con l’insegna ancora dipinta a mano, scomparse da tempo insegna e latteria di sotto. Il dopo merenda, quasi una sorta di graditissimo premio, erano un paio di giri sulla giostra dei dischi volanti, che quando non era in giro per sagre, stava lì nel campo rom, allora si diceva solo zingari con una punta di mal celato disprezzo. A Bucco il termine zingaro non aveva mai alimentato diffidenze.
Gira e rigira per quelle vie strette, malmesse e buie alla fine, proprio accanto al lungo muro dei morti, Bucco, quasi a sorpresa, si trovò all’ingresso del campo degli zingari.
 
All’ingresso del campo degli zingari lo accolse Una Vecchia Con Un Solo Dente In Alto Nel Mezzo.
Forse sorrise, di certo farfugliò tutto d’un fiato:“Buonasera sperso?”. Nel pronunciare quelle poche parole, che forse celavano un alcunché di indagatorio, maldestramente cercava d’aggiustarsi su bocca e naso un’assai unta mascherina, forse del tutto inutile a proteggere, che le penzolava dal collo.
“No sperso no, spaesato piuttosto”, ribattè al saluto Bucco.
“Sono, anzi siamo,  qui da appena dopo la guerra, qui era solo una grande buca, le bombe sa... Poi sono arrivati i miei figli e i figli dei miei figli e qualcuno di questi ha già messo al mondo altri figli” disse la donna, che per via della mascherina nascondeva la bocca tormentata con un solo dente in alto nel mezzo, e ora appariva perfino gradevole alla vista con quei due occhi enormi e verdi.
“Dunque perché qui?”
“Ma qui, qui – stentò Bucco – qui una volta c’era… c’era una baracca, una giostra insomma da Luna… Luna Park?”
“C’era e c’è – disse La Vecchia Con Un Solo Dente In Alto Nel Mezzo, nascosto, come fosse anche per decenza, dalla mascherina antipandemia.
A quel “c’era e c’è” Bucco si sentì percorrere da brividi intensi, che era difficile comprendere se consigliassero di allontanarsi dal campo o rimanere, vedere, toccare e forse anche provare. Decise di rimanere, vedere, toccare e forse anche provare ben consapevole che quell’inattesa esperienza avrebbe potuto provocargli, più che fisici, intimi intensi dolori. Decise di fretta anche perché La Vecchia Con Un Solo Dente In Alto Nel Mezzo non gli lasciò tempo sufficiente per pensare.
“Deja – chiamò la vecchia” e in un attimo apparve dal buio Una Giovane Donna Dai Corti Capelli Biondi, come si fosse concretizzata dal nulla. Mentre la giovane si aggiustava la mascherina dove, all’altezza della bocca, campeggiava un gran sole rosso,  La Vecchia Con Un Solo Dente In Alto Nel Mezzo le disse, quasi fosse un comando: “ Porta il signore da Iori e digli di fargli vedere la vecchia giostra”.
La Giovane Donna Dai Corti Capelli Biondi, senza dir parola, precedette Bucco districandosi tra baracche e vecchi camper malmessi; sui gradini della rampa di accesso a uno di questi una donna spidocchiava una forse figlia. Nel resto del campo non v’era altro segno di vita se non le luci fioche dei vari interni. Un brusìo di sottofondo: per lo più l’urtare di posate su piatti e altre stoviglie. Era ora di cena e si sa che lì nel campo si cena subito dopo il tramonto.
All’estremo del campo, quasi attaccato al muro dei morti, vi stava un vecchio e coloratissimo camper da dietro al quale spuntava il culmine di un enorme fagotto, tutto coperto da un telo impermeabile color verde militare: spessi elastici, ingrigiti dal tempo, lo imbrigliavano completamente.
La Giovane Donna Dai Corti Capelli Biondi s’avvicinò al coloratissimo camper e, a gran voce, chiamò”Iori, Iori” più volte.
Iori apparve, quasi d’improvviso, nella luce giallognola della porta aperta del camper e subito tre, quattro, forse anche cinque visi di bimbi apparvero ai suoi fianchi, uno addirittura tra le gambe aperte del muscoloso uomo che indossava un vistosissimo, quasi fosforescente, gilet giallo.
La Giovane Donna Dai Corti Capelli Biondi non lasciò neppure il tempo di parlare a Iori precedendolo”Il signore vuole vedere la vecchia giostra, mettiti la mascherina e fagliela vedere.
Iori indossò la mascherina, scese i tre scalini d’accesso al camper e con un cenno invitò i marmocchi, che gli avevano appena fatto da corona, a seguirlo; sì formò un piccolo corteo: Iori in testa, dietro i cinque marmocchi, poi La Giovane Donna Dai Corti Capelli Biondi e, infine, Bucco sempre più scosso da un intimo tremore.
Gli otto camminarono ben poco, giusto il tempo di girare dietro il camper, e si ritrovarono tutti, chi più dappresso chi meno, davanti all’enorme fagotto, tutto coperto da un telo impermeabile color verde militare: spessi elastici, ingrigiti dal tempo, lo imbrigliavano completamente.
A un cenno di Iori, i cinque ragazzini cominciarono con gioioso vigore a togliere gli elastici, che liberati da una sola parte si drizzarono tutti assieme nel cielo e a Bucco sembrò in quel muoversi agitato di intravedere lo scaruffo smosso della Medusa caravaggesca riprodotta sul libro di storia dell’arte del liceo di tanti, tanti anni addietro.
Privato dagli elastici fu assai facile, considerata anche la rapidità dei marmocchi, sotto l’occhio attento di Iori, disfare del tutto il fagotto e svelare alla vista di un Bucco frastornato la giostra dei dischi volanti.
“Non ditemi che funziona ancora?” fece Bucco strofinandosi gli occhi. Nessuno disse nulla, solo La Giovane Donna Dai Corti Capelli Biondi di sotto la mascherina con dipinto il sole rosso forse timidamente sorrise, così almeno rivelavano i suoi splendidi occhi chiari.
Ormai tinte e numeri dei baracchini a mo’ di dischi volanti erano scomparsi. I cinque marmocchi salirono sulla giostra occupando posti di combattimento contrapposti. Iori tolse un altro telo da una sorta di piccola consolle, sistemò alcuni cavi e, senza mai pronunciare parola, pigiò su un tasto e la giostra con i ragazzini a bordo si mise in moto seppure con qualche sinistro scricchiolio.
Fu subito gran divertimento e soprattutto smisurato combattimento tra gridi e risa dei ragazzi seduti sui loro dischi. Bucco, per un attimo, temette che tutto si schiantasse, ma fu ben presto sopraffatto dal vigore della lotta ingaggiata dai cinque ragazzetti per rimanere ultimo in cima e quindi vincitore. Fu un bimbo dal pelo rosso a vincere e subito dopo il sibilo di una sirena segnalò la fine della battaglia e del giro e anche l’ultimo disco, quello del vincitore, fu abbassato.
La Giovane Donna Dai Corti Capelli Biondi tese la destra a Bucco e lo indusse a sedersi su un disco volante, lei accanto. Le cosce si sfiorarono e Bucco sentì, lì al sesso, un fremito da molto sconosciuto. Di certo avrebbe voluto che il contatto durasse a lungo o magari che non terminasse più, ma la giovane balzò fuori dallo stretto abitacolo e velocemente prese posto su un disco contrapposto  e gridò “Vai!”.
Iori mise di nuovo in moto la vecchia giostra, facendo modo, premendo con mestiere un tasto piuttosto che un altro, di lasciare  levati solo i due trabiccoli dagli scricchiolii sinistri occupati.
Appena in alto La Giovane Donna Dai Corti Capelli Biondi si tolse la mascherina, ormai la distanza era più che assicurata, anche Bucco se la tolse.
La giovane donna immediatamente si rivelò agli occhi di Bucco come La Ragazza Dal Nome Di Dolci Di Lago.
Un fremito, forse una febbre, colse di improvviso Bucco. La giovane rom cominciò a sparargli addosso non innocui colpi di divertimento ma risvegli di memorie tirati fuori da oltre cinquant’anni di oblìo. Bucco non si fece prendere alla sprovvista e, tanto meno, s’arrese alla sorpresa e si mise, a sua volta, a risvegliare memorie, gioie e disastri compresi, nell’ormai solo Ragazza Dal Nome Di Dolci Di Lago.
Quel tipo di giostra, che tante volte aveva attratto Bucco e La Ragazza Dal Nome Di Dolci Di Lago, nell’adolescenza liceale, sembrava farsi leggera, quasi lievitasse dal suolo e girasse, vagasse per tempi, luoghi e storie lontani, ormai creduti per sempre rimossi. gioie e disastri compresi.
Il colpo più forte, a ritroso nel tempo, fu sulle colline di Fiesole: le dita incrociate l’un con l’altra, i visi inclinati pronti al bacio e la figura del guardiano del sito archeologico, giunto alle loro spalle, che intimò “Ragazzi si chiude”
“Dai che si scende – disse Iori – che la cena mi si raffredda”
 
Bucco, quasi a sorpresa, si trovò all’ingresso del campo degli zingari. Non c’era nessuna Vecchia Con Un Solo Dente In Alto Nel Mezzo. Né Luna Park, né tanto meno giostre d’infanzia o d’adolescenza. Nulla: da una parte la staccionata che recingeva il campo rom e dall’altro l’inizio di un garbuglio di vie da ripercorrere a ritroso verso casa.
 Gira e rigira per quelle vie strette e buie, Bucco s’allontanò dal lungo muro dei morti. E fu sul viale, e poi nella piazza della giostra, di quelle ricche e tutte invetrate, ben altra roba e assai distante dagli scalcagnati Luna Park straccioni di un tempo; chiusa, ovviamente, anche la giostra per bene.
Bucco giunse a casa, salì a fatica le scale per evitare, per timore del contagio, l’uso dell’ascensore. Entrò, si tolse giaccone, mascherina, e cappello, soffiò un bacio leggero sul viso della moglie.
Tra poco, pochissimo, un soffio, novembre sarebbe arrivato. A star a sentire le cose, il detto, lo scritto l’imminente mese di novembre non sarebbe stato foriero di nulla di buono, anzi. Bucco avvertiva la sensazione, condivisa dai più, che gli esiti della pandemia, il ritorno di essa, sarebbero stati assai più severi di quelli patiti a marzo e aprile. Con i numeri di infetti, ricoverati in ospedale, intubati nelle varie stanze di terapia intensiva e morti, che sempre più s’accrescevano e addensavano paure intime e collettive, a Bucco pareva che un nuovo lockdown fosse inevitabile.
Ora si sentiva la febbre. Trentacinque e otto il responso del termometro. La febbre continuava a salire, ma di dentro lontana. Accanto, dopo oltre cinquant’anni, gli sedeva, in gran segreto La Ragazza Dal Nome Di Dolci Di Lago.

 

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