UN FUNERALE

Che le mezze stagioni non ci sono più”, Bucco era tanto che se lo sentiva dire. D'altro canto solo con un insistito dar d'occhio all'orologio ci si poteva accorgere come il Sole avesse mutato la sua posizione nel breve volgere d'una settimana. Se poi si avesse avuto qualche voglia di guardare per il sottile ci si sarebbe potuti accorgere come in molte delle foglioline degli alberi alti del prato vibrasse un sottile e delicato senso di paura, una specie di non rivendicato pudore, della caduta, della morte.
Bucco in qual paese, un eufemismo chiamarlo paese,  era tornato per un funerale. Il borgo Bucco se lo era messo alle spalle ormai da tempo. Più che un affetto era rimasto un ricordo letterario: scomparso da tempo l'Uomo Dal Basco In Testa, che nell'ombra dell'uscio socchiuso, al passaggio di un turista o di chiunque altro fosse, incurante se il passante l'ascoltasse o meno si metteva a dire o, meglio, leggere da un suo immaginario e invisibile libro, umettandosi indice e pollice sulla lingua.
Il paese era rimasto quello di sempre, magari una mano di colore alla pareti delle case intonacate male e di certo un camposanto ampliato e non di poco, sostituito pure il cancello dal cigolio tristo. Poche le icone simbolo di quel borgo le rimaste e del resto a Bucco poco importava tentare di scovarle, se le avesse incontrate “Ciao”  o “Buongiorno”; niente di più.
Il morto, l'occasione del ritorno di Bucco, era nel giro delle amicizie sue e soprattutto di sua moglie; per lei molto più d'una amicizia un legame, qualche volte controverso, che si era sfilato dall'infanzia. Era morto  nell'ospedale di una trafficatissima cittadina di valle, l'avevano portato su al paese delle sue radici.
Inumato che fu, gli amici s'erano intrattenuti a pranzo in una rinnovata vecchia osteria dove, in tempi lontani anche Bucco aveva speso o acquisito qualcosa di suo. Poi tutti al giardino dove nelle  foglioline degli alberi alti del prato sembrava che vibrasse un sottile e delicato senso di paura, una specie di non rivendicato pudore, della caduta, della morte.
Bucco s'allontanò dalla compagnia, scelse un luogo, per quanto fosse possibile, appartato, e si distese nell'erba al riparo del sole, che tradendo la mezza stagione, riscaldava estivo. Distante una cinquantina di passi fu come assistesse a un gioco confuso d'ombre di tutti quei personaggi che un tempo erano del giro delle convivenze, ricercate o subite che fossero.
Bucco era cosciente che quella sorta di danza cortese altro non fosse che una ostentata parata di menzogne. Ormai lutti, devastanti malattie, divorzi, scambi di letti, affetti trasferiti in valle o più giù e lontano in città avevano reso la compagnia d'un tempo in miseri banchetti di maldicenze o più semplicemente in una marmellata di indispensabile solidarietà verso i più deboli, gli andati male, i malati, i cornuti, gli scomparsi.
Le danze si svolgevano a una cinquantina di passi da Bucco, che disteso nell'erba e da sotto i suoi capelli ancora tutto uno scaruffo aggrottava le ciglia verso quel teatro delle memorie. Dal gruppo si staccò la figuretta della Donna Che Aveva E Dava Febbre.
Chiara, come al tempo in cui era hostess per turisti in una malmessa galleria d'arte, non tradendo per nulla le stagioni passate, comprese le mezze, si mosse con eleganza verso Bucco. I dolori al torso di questi si fecero più intensi: si era tutto aggiaccato sulla spalla destra per meglio cogliere le movenze leggiadre della donna che avanzava. Già a distanza discreta Bucco vide un delicato rossore imporporarle il viso; del resto come sempre. La  Donna Che Aveva E Dava Febbre,  giunta a pochi passi da lui, sorrise e gli si accovacciò vicino.
Ciao” - disse lei – dormi, disturbo? -
“No, affatto guardavo, è che non ci sono più, non ci sto più... -
“Dove?”
“Qui al paese...”
“Che buffo sentire parlare di paese per queste quattro case, per lo più vuote...”
“Non ci sto più, non mi ritrovo più”, riprese Bucco.
“Tu, qui, non ci sei mai stato”, sorrise la  Donna Che Aveva E Dava Febbre. “anch'ioci sto poco, ho famiglia, vengo su a fare da badante a mia madre, e come si fa a muoverla da qui...”
“Sai – rispose Bucco – questione di radici, io del resto qui non le ho mai stese...”
“Io le ho tagliate, una sorella andata lontana di corpo e di testa, l'altra al lavoro, ci diamo il cambio per stare accanto a mia madre...”
“Sei sempre bella”, azzardò Bucco.
Mi tengo bene, vai...”, rise la donna.
Guardavo la falsità d'intorno, là vicino allo steccato del recinto”
“Io mi sono fatta un po' suora, se salgo è per mia madre e per mio figlio, a lui qui piace...”
“Anche a mia figlia piace qui...”
“Sono amici i nostri figli...”
“Mi fa paura sentir dire d'amicizia, se guardo laggiù...”
“Forse hai ragione...”
I due continuarono a ragionare. Bucco continuava a scorgere come in molte delle foglioline degli alberi alti del prato vibrasse quel sottile e delicato senso di paura notato prima. Fece finta di nulla, si rizzò meglio sulla spalla destra, lei, quasi strisciando gli si avvicinò maggiormente.
Avevi la febbre quel giorno alla bottega per turisti...”
“Ricordo...”
“Ti porti addietro il rossore d'allora...”
“Forse ho un po' di febbre, roba da poco... da sempre, ogni volta che risalgo qui... in questi giorni, poi, del ritrovarsi assieme per forza”...
“Fa caldo, il sole picchia...”
“Non ci sono più le mezze stagioni...”.
I due risero assieme.
“Avevi la febbre quel giorno, un po' devi avermela trasmessa...”, riprese Bucco.
“Ci vediamo così di rado. Ci teniamo in contatto nelle parole dei nostri figli che si sono fatti amici...”
“Non sa un poco di jattura questa parola amici?”
“Lasciamoli crescere”.
La mano di Bucco scivolò verso il corpo di lei. La mano della  Donna Che Aveva E Dava Febbre, la fermò a mezz'aria: uno sfioro. Le punte delle dita si toccarono appena. Entrambi avevano le dita calde, forse qualche lineetta di febbre ciascuno. La  Donna Che Aveva E Dava Febbre sorrise, s'imporporò ancor di più nel viso, disse in un soffio: “Forse sono tornate le mezze stagioni”.
A Bucco parve diminuissero, sparissero i dolori al torso. Fu forse un'impressione soltanto la sensazione che il sottile e delicato senso di paura della caduta, della morte appartenesse, da quel preciso istante, solo alle foglioline degli alberi alti del giardino.