DICEMBRE/TEATRO OUT OFF/IL SOGNO DI UN UOMO RIDICOLO/4,5/5

06.06.2020 17:02

UN’INTERPRETAZIONE DA SOGNO

 

Il sogno di un uomo ridicolo è uno dei testi più emblematici di Fëdor Dostoevskij, in cui il protagonista, che oggi definiremmo border –line, è un uomo disarmato e senza prospettive per il futuro tanto che ha deciso di suicidarsi. Dopo aver cacciato in malo modo una bimba che disperatamente cercava aiuto per la madre morente, pur vergognandosi amaramente della sua reazione, torna nel suo sordido appartamento, prende la pistola per uccidersi, ma improvvisamente s’addormenta e sogna.  Nel sogno si suicida per davvero ma continua a vivere in ogni aspetto la sua morte fin quando viene trasportato da un essere misterioso (un angelo?) nell’immensità dell’universo, lontano dall’odiata Terra. Nel corso del viaggio l’uomo ridicolo si rende conto che anche dopo la morte continuiamo a esistere. Abbandonato dall’angelo si ritrova in una nuova Terra ripiombata all’età dell’Eden biblico dove tutto è bene e armonia. Nel prosieguo del sogno è lo stesso uomo ridicolo a trasmettere agli abitanti della Terra /Eden il bacillo di ogni male. Dopo aver compreso che la sua stessa presenza ha corrotto “l’umanità sosia”, chiede di farsi uccidere estirpando così la causa prima della corruzione, nessuno gli crede e lui si risveglia dal sogno. Da questo punto l’uomo ridicolo decide di dedicare la propria vita alla predicazione della Verità, convinto di averne avuto la perfetta visione e sicuro che il male, la corruzione e la degenerazione non possano essere la condizione normale dell’umanità. (a.r.)

Da questo racconto, in equilibrio tra fede ed elementi proto socialisti, all’Out Off è di scena un’affascinante trasposizione teatrale di e con Mario Sala, con il contributo drammaturgico di Fausto Malcovati e per la regia di Lorenzo Loris. Già da quando si scende direttamente sul palco dove ai vertici delle diagonali sono disposte sedie metalliche e ai lati spartane panche di legno si comprende che ben presto ci troveremo ad affrontare una singolare e, quel che più conta, affascinante realizzazione scenica. La platea a scalinata del teatro è separata da una concreta quarta parete costituita da un sipario a cordoni. Uno spettacolo in cui l’essenza, al di là del testo, può essere individuata nel continuo quasi scambiarsi di fiati tra attore e pubblico. Personalmente mi ha convinto il “disegno” della figura dell’uomo ridicolo, un clown vagamente felliniano con tanto di tuta a righe e naso delicatamente rosso. Ma il testo, intenso ma forse datato soprattutto nei suoi tratti fideistici, è vivificato dalla regia attenta e scrupolosa di Lorenzo Loris, ma soprattutto dall’intensa e penetrante interpretazione di un grande Mario Sala. Col suo cappellaccio da spaventapasseri ben calcato in capo spazia per svariati timbri vocali permettendo, proprio coi mutamenti di voce, varie angolazioni di lettura. Perfetto per regia, tempi e interpretazione il finale quando, rimossa la quarte parete, Sala recita dalla platea deserta, quasi ieratico, distanziandosi, prendendo respiro e quasi volando sopra  il pubblico inchiodato al palcoscenico e ai propri dubbi sulla possibilità utopica di ritrovare la felicità. Da vedere per il valore del testo, per la regia e soprattutto per la sorprendente alta interpretazione di un trascinante Mario Sala da applausi.