UN'ALLEGRIA

I tramonti, a guardarli bene, sono di diverse speci. Bucco li aveva da sempre suddivisi in due categorie: quelli asciutti e quelli liquidi.
I primi, tipici delle giornate serene, neppure un graffio bianco di nube, si esauriscono consumandosi in un amen con la palla del sole che cade, senza quasi darne il minimo preavviso, dietro le montagne. Da lì a poco il buio improvviso stimola i grilli a stonati concerti. I secondi, pii belli a vedersi, chiudono giornate dal cielo tutto a creste. Pipe di nuvole scarabocchiano l'azzurro e il sole sembra penare per distaccarsi da loro. Nell'indugio incendia di rosso le più vicine e accarezza appena di rosa le più distanti. I grilli a sera, sostiene la leggenda, si bevono quei colori in delicati frin frin d'autore.
La sera in cui Bucce amò sperdersi per il sentiero di mezza collina, alla curva il contor­to di una robinia, il tramonto apparteneva alla categoria di quelli liquidi. Una nuvola lepre si smarriva nella ruota infuocata dei laghi che a Ovest chiudeva l'orizzonte.
Bucco lasciò il sen­tiero dove la provinciale si apre in belvedere, trattenuto a stento da un parapetto tanta ruggine e poco smalto. Lì, in equilibrio sulla piana di sotto, i suoi occhi sfocarono immagini e tempo: finì ad accovacciarsi in una febbre d'infanzia, quando voleva andare, l'estate, in una valle so­litaria, esplorarne il nero dei boschi e i bian­chi degli sterrati chiusi dal secco di muri rabberciati e primitivi, limiti a chissà quali pro­prietà.
In fondo alle febbri d'infanzia c'è sempre una casa solitaria. Bucco rovesciò il capo all'indie­tro e vi entrò. Le pareti ammuffite e grigiastre non serravano, oltre al cotto malmesso del pavi­mento e alle travi del soffitto, nient'altro. Quella casa non aveva sapori. Sembrava disabitata da tempo.
A tendere bene l'orec­chio, tuttavia, qualcosa si sentiva. Un flebile ronziò indefinibile scendeva dal piano di sopra. Bucco, per la scala di sasso, vi salì. Il ronzìo si fece più intenso. Quasi fosse disperato. Il buio della stanza, le persiane inchiodate e in­crostate dal tempo, non gli permisero di scopri­re immediatamente la fonte di quello che pareva essere un rimasuglio di vita.
A mano a mano che gli occhi si ambientavano gli fu concesso scorgere uno sciame di tremolanti puntini chiari. Da lì a poco riuscì a individuare centinaia di farfalle che si svolazzavano intorno senza pause. Una di loro, forse la più grossa, sbatteva continuamente le a­li contro i cardini dell'imposta serrata: su e giù. Le altre la lasciavano fare. Bucco avanzò verso la finestra chiusa, di tanto in tanto qual­che farfalla gli si intricava nella testa scaruf­fata o, più sotto, sul viso: un attimo l'impat­tarsi e l'essere già lontano. Bucco giunto alla finestra l'aprì sul bosco attorno.
La prima a svoltolarsi via fu la farfalla più grossa. Tutte le altre dietro. Nel vuoto della stanza entrò al lo­ro posto uno sgallettìo di sole che andò a ri­schiarare il grigio delle pareti, come fosse allegria.