UN BACIO

"Ciò che mi sfugge è quello che in gergo si dice l'omogeneo dove vi ci possa calare una storia dall'A alla Zeta" pensava Bucco seduto sulla ringhiera che se­para i binari del tram, quelli che andavano a destra da quelli che da destra provenivano.
Gli occhi fissi al balcone del secondo piano della casa in cui era nato. Sarebbe stato lì la notte intera qualora non lo avessero convinto a desistere moglie e figlia, ancora piccola, andate fin lì dall'altra parte della città.
L'ultimo tram che veniva dalla destra già passato da un pezzo. Così pure quello che andava al­l'inverso.
La mattina successiva, una di quelle mattine estive senza traffico e senza succo, Bucco tornò in quel luogo da cui l’amore della moglie e la tenerezza della figlia l’avevano allontanato la nottte precedente. Soprattutto tornò a fissare il balcone del secondo piano della casa in cui era nato.
Cosa mai avrebbe dato Bucco per riuscire a spingere il suo sguardo al di là dei muri per giungere, attraverso stanze ristrutturate e sicuramente assai più ordinate di quando ci aveva vissuto lui con tutti, i tanti suoi, a quello che fu il suo, dei tanti suoi, terrazzo.
Bucco ci aveva portato anche La Ragazza Dei Cappelli Ramati sul suo terrazzo quello con il glicine in un angolo tutto contorto che spandeva d’intorno profumo dolce da capogiro.
A volte capita che in una sera afosa di metà luglio uno vada o sia condotto in un posto e all’improvviso senta freddo e ne provi imbarazzo e abbia voglia di andar­sene senza una precisa ragione.
Sul terrazzo di Bucco La Ragazza Dei Cappelli Ramati, quella afosis­sima sera del ventidue luglio, sentì freddo e ne provò imbarazzo e le venne voglia di andarsene senza una precisa ragione.
Bucco avrebbe dato qualsiasi cosa per poter vedere al di là dei muri il terrazzo che fu suo. Per vedere se qualcuno avesse portato qualcun altro sul terrazzo. Per vedere se quest'ul­timo, qualcun altro, fosse colto all'improvviso da una sensazione di freddo, poiché a volte così capita e Bucco ne era conscio anche perché non riusciva a cancellare dalla sua mente La Ragazza Dei Cappelli Ramati che all’improvviso sentì freddo, ne provò imbarazzo e decise di andarsene senza una precisa ragione.
Bucco era convinto, straconvinto, che in quel palazzo, o meglio su quel terrazzo, e in quel periodo di tante speranze e di altrettanti errori e orrori ci fosse quel briciolo d’omogeneo dove ca­larci una storia dall'A alla Zeta filante, filante filante. Di certo quella storia leggera e perfetta, come le storie narrate dovrebbero tutte essere, avrebbe di certo avuto come protagonista la Ragazza Dei Cappelli Ramati. Una presenza, sebbene fosse stata un poco scolorita dal tempo, ancora forte, imponente: quasi ancora tangibile.
Bucco non aveva mai dimenticato quella sera nella piazza della cattedrale, tra tante bandiere, per lo più rosse, in cui erano seduti accanto, vicini, nasi e occhi all’insù a leggere sul vecchio palazzo di fronte gli scorrevoli risultati luminosi del referendum. Una gioia, quasi una scossa elettrica, percorreva il di dentro di entrambi.
Di certo fu elettrico, capace di dare ancora a distanza di molti anni fremiti e scosse, quel bacio violento, là nella galleria d’arte affollata in una serata di vernice, che La Ragazza Dei Cappelli Ramati, gli diede, la lingua spinta fino alle tonsille. Terminato che ebbe di baciarlo la donna, si mise apposto la tracolla della borsa sulla spalla e in un amen, facendosi largo leggera tra la tanta gente di quella sera, scomparve dalla vista di Bucco, che rimase fermo lì impietrito accanto a una statua, forse un prototipo, di uno scultore di certo famoso, ma di cui non aveva mai mandato a mente il nome.
Anni dopo, quando Bucco era già da anni al giornale, scorse il nome della Ragazza Dai capelli Ramati come prima partecipazione a un necrologio per un giovane uomo deceduto dopo lunga sofferenza per AIDS: non vi erano dubbi doveva trattarsi di suo fratello.
Bucco era lì da molto a fissare il balcone del secondo piano della casa in cui era nato quando dall’androne vide uscire una signora distinta, di bel portamento, i capelli ramati, la borsa a tracolla.
Bucco tentò di fermarla, ma lei salì subito su un’auto parcheggiata lì davanti, e scomparve veloce, ancora più veloce di quando La Ragazza Dai Capelli Ramati si dileguò via tra la folla dalla mostra d’arte dopo il bacio.
Bucco entrò nell’androne e si diresse alla guardiola del custode e chiese chi fosse quella donna appena uscita.
Io sono qui da ore e non ho visto alcuna persona passare, né entrare né uscire … Mi dice con cappelli ramati?... Ma è sicuro d’averla vista oggi… Sono ormai anni che La Signora dai Cappelli Ramati se ne è andata… abitava al secondo piano, stava sempre sul terrazzo. A volte arriva ancora della posta… trasferita e la rimando al mittente” disse il custode con aria un poco stralunata.
All’improvviso Bucco, si ricordò di una frase della nonna: “Tornano in piccole cassette di metallo gli sconosciuti morti di tutte le guerre. Come posta rinviata al mittente”.