UNA CACCIA

Esistono strade, vie o viottoli sterrati ai cigli dei quali è tutto un canneto fitto: stanno, nei ricordi di molti, quasi sempre nel sole. Visti una volta  è difficile scordarli. Quando li si rammenta  è normale, forse inconscio, collocarli in un tiepido settembre: l'agosto precedente a quello certamente secco e torrido. Quei viottoli conduconon, quasi sempre, a slarghi d'acqua. Non propriamente laghi, piuttosto stagni, pozze paludose rimasugli laterali di qualche fiume indolente.
Lungo simili vie  è praticamente impossibile imbattersi in esseri viventi, uomini o animali che siano. I primi preferiscono vie più trafficate. I secondi se ne stanno nascosti nell'oscuro del canneto; fruscii o, a volte, schiocchi improvvisi avvertono, incutendo timore nel viandante, della loro presenza lì a un passo.
In tali paesaggi celato da qualche cespuglio, nelle vicinanze paludose degli slarghi d'acqua, ama soggiornare lo svasso maggiore.
In fondo a una di quelle vie sterrate, in riva a uno stagno, in un capanno di caccia abbandonato, aveva deciso di starsene per il rimanente dei suoi giorni l'Uomo Chiamato Colonnello: Bucco, un giovedì  e il mese settembre, decise di volerlo incontrare.
Di quell'uomo, in paese, si parlava ancora. Nessuno, tuttavia, aveva voglia e intenzione d'andarlo a trovare: “Ha fatto il suo tempo ed è buono solo per racconti, balle”.
Giunto in fondo alla via, Bucco intravide subito, in mezzo al diradarsi del canneto, sospesa tra due alberi, la cui corteccia era più muschio che altro, dondolare pigramente l'amaca bianca dell'Uomo Chiamato Colonnello. Questi se ne stava sopra disteso: le gambe accavallate.             
Giacca e pantaloni di taglio coloniale bianchi. Neppure uno sberleffo di fango li segnava. L'Uomo Chiamato Colonnello leggeva attentamente un grosso volume tenuto, mezza altezza sul viso, da mani curatissime. Un impercettibile bisbigliare di labbra seguiva il movimento degli occhi, riga dopo riga.
Bucco gli si avvicinò in silenzio, quando fu a tiro di voce lo chiamò con sicurezza: “Colonnello”. Questi, con sufficienza, distolse gli occhi dal libro per posarli sull'inatteso nuovo arrivato.  S'aggiustò a sedere. Depose il libro nell'incavo dell'amaca. Sbilanciò le gambe all'infuori e con un salto fu a terra, all'impiedi. Uomo sulla sessantina, alto, imponente, neppure una ruga lo segnava nel viso. L'Uomo Chiamato Colonnello allungò la mano destra tradendo, in quel gesto di cortesia, un poco d'emozione: Bucco era la prima persona che vedeva da quando si era ritirato in fondo a quella via sterrata. Poco importava che fosse uno sconosciuto: gli era sufficiente che quel giovane fosse in grado di esaudire la sua voglia di raccontarsi.
 L'Uomo Chiamato Colonnello  condusse Bucco all'interno del capanno. Lo fece accomodare tra uno scaffale zeppo di libri, una brandina messa per sghembo e un tavolino ancora mezzo apparecchiato. Su tutto,  dominava gigantesca, forse anche per l'eseguità del locale, ciondoloni da un chiodo, una carabina lucidata a nuovo.
L'Uomo Chiamato Colonnello cominciò un racconto fitto tutto suo, senza pause, apparentemente senza filo, sconclusionato. Parlò  di due guerre spese, si usò proprio quel termine “spese”. Una vera sui campi: un lampo. I cavalli che si lanciavano alla carica. Il nero dello squadrone a chiudere il verde di valli lontane. Non si ricordava se avesse vinto o ne fosse uscito sconfitto: l'importante era il gesto. L'altra guerra: tutta sua. Senza gesti. Una moglie lasciatasi scivolare dalla sua spalla in qualche salotto borghese in tempo di pace. Un chiacchiericcio spaesato attorno al suo farsi vecchio: i sogni ricorrenti.
Bucco non ebbe neppure il tempo per inserirsi con una benché minima domanda: l'Uomo Chiamato Colonnello stava già so-gnando.
Un cavallo dal mantello nero fiammato, non più  adatto alle guerre, era stato condotto in un recinto a far pascolo. Quel cavallo aveva gli occhi del suo colore, azzurro polvere. Le femmine, in un primo tempo, gli si fecero attorno incuriosite. Nitrendo raccontava di guerre e battaglie cavalcando tutta la storia, anche quella con la esse maiuscola da lui mai vissuta. In quel narrare invecchiava: qualcosa di dentro gli sghiandolava male. I maschi da pascolo, più  giovani, cominciarono, e via via sempre con più  frequenza, a ruzzargli contro con morsi e calci. Le femmine lasciavano fare. Il cavallo che aveva gli occhi del suo colore prese a starsene solo rimuginando un suo progetto: saltare gli stecchi del recinto e disperdersi con furia nella valle attorno in una carica senza soste. Una mattina ci provò  e saltato il recinto si trovò  a galoppare alla testa di uno squadrone di cavalli da guerra.
Sul finire del sogno si sperdeva lontano, come in un altro mondo.
“Anch io - disse l'Uomo Chiamato Colonnello - qui nel mio capanno abbandonato, coltivo un mio progetto”. Fu come un distaccarsi brusco dal sogno.
L'uomo si portò  la mano destra al fianco, qualcosa, di dentro, cominciava a sghiadolargli di traverso. Aveva in animo, confessò  a Bucco, di lasciare a tutti qualche altra sua impresa da aggiungersi nei racconti che si facevano su di lui, al paese. Qualcosa che si potesse andare in giro a vendere come straordinario e che lo riportasse in mezzo alla gente; nella testa della gente. Ci aveva pensato parecchio, ma i tempi non sor-reggevano più le grandi azioni. Qualcosa che, tuttavia, gli avreb-be concesso un'altra manciata di fama illusoria c'era: stecchire con un solo colpo di carabina uno svasso maggiore, un tram-poliere che ama soggiornare in luoghi paludosi.
La sua carne non è certo prelibata, per via di tutto quel pesce di cui, ghiottamente, si nutre. L'Uomo Chiamato Colonnello lo sapeva bene; era anche a conoscenza che la caccia allo svasso fosse da tempo vietata. L'unica cosa che gli interessava era quella di mettere ancora in mostra la propria abilità di tiratore di cui tanto si cianciava nei racconti d'osteria. “Colpire uno svasso maggiore non è impresa da poco” aggiunse l'uomo nell'avvicinarsi alla carabina lucidata a nuovo che pendeva dal basso soffitto del capanno. “Ci vuole una ventidue che ti spara da ottanta metri: impossibile avvicinarsi di più e poi un colpo solo altrimenti quello si tuffa nell'acqua e addio”.
Bucco in quella decantata impresa da tanto studiata con cura riusciva a vedere solo crudeltà  e nulla che potesse recare presti-gio alla fama di un uomo, ma ormai tutto era deciso: sarebbe stato al tramonto, che già  dava avvisaglie di sé  tingendo di rosso gli stecchi che fuoriuscivano dal vicino stagno.
L'Uomo Chiamato Colonnello prese la carabina. Confessò d'avere con sé solo due colpi: uno per lo svasso maggiore e l'altro…
Bucco non ebbe neppure il tempo per tentare di dissuadere l'uomo da quel gesto di gratuita crudeltà: uccidere uno svasso maggiore per testimoniare d'essere ancora il migliore di tutti nel tiro. “Non è facile a sessant'anni passati, con un colpo solo da ottanta metri” disse d'un fiato l'Uomo Chiamato Colonnello uscendo dal capanno con la sua carabina a tracolla.
Bucco lo seguì, un poco, con gli occhi, allontanarsi verso il fitto del canneto sulla destra dello stagno. Ben presto lo perse di vista. Solo un agitarsi più mosso del solito di fronde tradiva la presenza dell'Uomo Chiamato Colonnello verso l'orizzonte. D'improvviso uno sparo tra gli stecchi divenuti d'un tratto immobili. Fu un attimo: le canne ripresero a stormire, agitate dal basso, sempre più lontano, in direzione opposta al capanno. Bucco, nel rosso del tramonto, riprese la via sterrata che conduceva, dall'altro capo, in paese.
   A mezzo cammino gli parve d'udire, in lontananza, un colpo. Si voltò e d'improvviso vide venirgli incontro un cavallo dal mantello nero fiammato: gli occhi, azzurro polvere, gli stessi dell'Uomo Chiamato Colonnello. Nitrendo alto infilò il fitto delle canne e scomparve richiamato da un fischio lontano. Bucco fissò lo sguardo nel folto del canneto e gli sembrò  di scorgere un uomo dall'abito bianco, senza neppure un graffio di fango a segnarlo, montargli in sella.

 

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